Codice deontologico psicologi commentato e spiegato

Definizione codice deontologico psicologi

Il Codice deontologico per psicologi è entrato in vigore il 16 febbraio 1998 con lo scopo di definire quali sono le norme generali di comportamento che devono tenere i professionisti che esercitano questa professione. Non solo: all’interno del codice ci sono anche una serie di obblighi che lo psicologo deve rispettare, nonché delle responsabilità che vengono a lui attribuite nell’esercizio della professione. La violazione delle norme deontologiche comporta l’applicazione sanzioni.

Conoscere il nuovo Codice deontologico è fondamentale per tutti gli psicologi professionisti e per chi desidera lavorare come psicologo: in questo articolo riportiamo una parte del testo commentato e spiegato.

Cos’è il codice deontologico per psicologi e perché esiste?

Gli psicologi italiani sono tenuti a rispettare una serie di norme di carattere etico e sociale durante lo svolgimento della propria professione. Tali norme – che riguardano la propria attività, il rapporto con i pazienti, i colleghi e la società, ma anche il comportamento da tenere in determinate situazioni – sono contenute all’interno del Codice deontologico: questo atto si compone di 42 articoli suddivisi in cinque parti.

I quattro principi deontologici fondamentali che si evidenziano all’interno di questo testo sono i seguenti: 

  1. Rispetto per i diritti e la dignità di ogni persona;
  2. Competenza;
  3. Responsabilità;
  4. Integrità.

Ogni professionista che intende svolgere l’attività di psicologo è tenuto a firmare il codice deontologico della professione: con questo “atto simbolico” lo psicologo si impegna a rispettare e aderire ai principi etici e alle norme deontologiche.

Quale ente crea il codice deontologico per psicologi?

Ad approvare il Codice deontologico nella sua prima versione è stato il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi nel 1997, mentre solo nel 1998 il testo è diventato ufficialmente operativo.

Ogni quanto viene aggiornato

Presso la Commissione Deontologia dell’Ordine degli Psicologi è stato istituito un organismo denominato Osservatorio permanente sul Codice Deontologico, a cui è affidato il compito di raccogliere delle proposte da presentare al Consiglio nazionale dell’Ordine per revisionare e aggiornare – se necessario – le norme contenute all’interno del testo (art. 41).

Per poter presentare proposte di modifica del codice, l’osservatorio deve raccogliere la giurisprudenza relativa alla materia deontologica proveniente dai Consigli regionali e provinciali dell’Ordine, o da qualsiasi altra fonte utile.

Per esempio, nel 2023 il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) ha approvato all’unanimità una revisione del Codice deontologico degli psicologi, revisionando e modificando numerose norme etiche e deontologiche.

Codice deontologico psicologi commentato articolo per articolo

Il testo ufficiale del Codice deontologico per psicologi si può dividere in cinque parti (detti Capi):

  • Capo I – Principi generali;
  • Capo II – Rapporto con l’utenza e la committenza;
  • Capo III – Rapporti con le colleghe e i colleghi;
  • Capo IV – Rapporti con la società;
  • Capo V – Norme di attuazione.

Scopriamo, commentiamo e spieghiamo ciascun articolo nel dettaglio nei successivi paragrafi.

I Principi Generali

Il codice deontologico per gli psicologi si apre con una serie di principi generali che ogni professionista è tenuto a rispettare. L’articolo 1, infatti, specifica che le regole contenute all’interno del codice sono “vincolanti per tutte le iscritte e tutti gli iscritti all’Albo“, a prescindere dalle modalità di lavoro scelte (psicologo online, psicologo con partita Iva, professionista in uno studio privato o nel settore pubblico). L’inosservanza di tali principi e regole comporta l’applicazione di sanzioni secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°, della Legge 18 febbraio 1989, n. 56” (art. 2). 

Secondo quanto previsto dall’articolo 3, lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle conseguenze che questi ultimi possono avere sui pazienti. Pertanto, deve prestare la massima “attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza“. Inoltre, nell’esercizio della professione, lo psicologo deve rispettare i principi di rispetto e laicità (art. 4, che esprime il fondamento etico della struttura del codice deontologico).

Il professionista è tenuto a “mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali operano”. L’articolo 5, appena enunciato, sottolinea l’importanza della formazione per psicologi come principio fondamentale per un corretto svolgimento della professione e nel rispetto dei propri pazienti. La violazione di tale obbligo costituisce un “illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale“.

In difesa dell’autonomia professionale, l’art. 6 stabilisce che “lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine“.

Altro principio fondamentale, contenuto nell’articolo 7, è la verifica delle informazioni e delle fonti su cui si basano le ricerche, le analisi e le conclusioni proprie e dei propri colleghi. A tal fine, i professionisti “contrastano l’esercizio abusivo della professione” (art. 8).

Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente le persone in essa coinvolte rispetto agli scopi, alle procedure, ai metodi, ai tempi e ai rischi della stessa, nonché alle modalità di trattamento dei dati personali raccolti” al fine di acquisirne il consenso informato (art. 9). Il paziente può, in qualsiasi momento, revocare il consenso o limitarne l’utilizzo.

L’art. 10 riguarda invece il rispetto degli animali: “Quando le attività professionali hanno ad oggetto il comportamento degli animali, lo psicologo si impegna a rispettarne la natura ed a evitare loro sofferenze“.

Un altro principio fondamentale è il rispetto del segreto professionale (art. 11): in altre parole, gli psicologi “non rivelano notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del loro rapporto professionale“. Al contempo, “si astengono dal rendere sommarie informazioni o testimonianza su quanto conosciuto per ragione della propria professione” (art. 12).

Nei casi di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo “limita a quanto strettamente necessario all’adempimento di tale obbligo, il riferimento di quanto appreso in ragione del loro rapporto professionale” (art. 13), sempre in virtù del segreto professionale.

L’articolo 14 regola lo svolgimento di interventi su gruppi, per i quali lo psicologo è tenuto a specificare le regole sin dalla fase iniziale. Nel caso di collaborazione con altri professionisti, e previo consenso del paziente, lo psicologo è tenuto a condividere “soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione” (art. 15).

Nella redazione di comunicazioni scientifiche, si legge sull’articolo 16, lo psicologo è tenuto a garantire l’anonimato del destinatario della prestazione. Sempre nell’ottica della riservatezza delle informazioni, l’articolo 17 stabilisce che deve essere garantita “la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto professionale“.

L’articolo 18 tutela la liberta di scelta, per il paziente, del professionista a cui rivolgersi. Qualora siano chiamati a operare in contesti di selezione e valutazione, gli psicologi “sono tenuti a rispettare esclusivamente i criteri della propria specifica competenza, qualificazione o preparazione” (art. 19).

Infine, gli ultimi due articoli della prima parte del codice riguardano la formazione psicologica di studenti e studentesse: quest’ultima deve accrescere l’interesse verso i principi deontologici (art. 20) da un lato, e promuovere conoscenze psicologiche, condividere e diffondono cultura psicologica (art. 21) dall’altro lato. 

Rapporto con l’utenza e la committenza

Per quanto riguarda i rapporti con l’utenza (Capo II del codice deontologico), nell’ambito della propria professione, gli psicologi adottano “condotte non lesive per le persone di cui si occupano professionalmente, e nelle attività sanitarie si attengono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali” (art. 22).

In merito alla fattura di uno psicologo, secondo quanto previsto dall’articolo 23 il professionista pattuisce in fase iniziale il compenso professionale, parametrato in base alla tipologia di prestazione erogata. Gli psicologi devono altresì informare il paziente riguardo le modalità, finalità e strumentazioni da utilizzare per la prestazione al fine di ottenere il consenso informato per l’erogazione della prestazione stessa (art. 24)e senza utilizzare “impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispongono” (art. 25).

L’articolo 26 del codice deontologico fissa il principio dell’astensione, secondo cui gli psicologi “si astengono dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con la natura e l’efficacia delle loro prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte“.

All’articolo 27 vengono specificati i motivi per i quali lo psicologo può interrompere un rapporto professionale, cioè nel caso in cui “la paziente o il paziente non trae alcun beneficio dall’intervento psicologico e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento dello stesso“.

Lo psicologo deve inoltre evitare “commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della professione“. In altre parole, secondo l’articolo 28, vanno evitate le prestazioni psicologiche verso individui con i quali si intrattengono (o si sono intrattenute) relazioni di natura personale.

L’articolo 29 prevede che gli psicologi possano “subordinare il loro intervento ad altri trattamenti sanitari e alla condizione che la paziente o il paziente si rivolga a determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientifico-professionale“. L’articolo quindi sanziona le forme di “comparaggio” economico tra psicologi e presidi, istituti o luoghi di cura. 

Sono poi vietate altre forme di compenso differenti rispetto al corrispettivo per la prestazione erogata (art. 30). L’articolo successivo riguarda invece le prestazioni richieste da minorenni o incapaci: il codice specifica che “i trattamenti sanitari rivolti a persone minorenni o incapaci sono subordinati al consenso informato di coloro che esercitano sulle medesime la responsabilità genitoriale o la tutela” (art. 31).

Infine, l’articolo 32 prevede che “quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal destinatario della prestazione stessa, sia tenuto a chiarire con le parti in causa la natura e le finalità dell’intervento“.

Rapporto con le colleghe e i colleghi

L’articolo 33 del codice deontologico sancisce il principio di colleganza che prevede un rapporto con i colleghi basato sul rispetto reciproco, sulla lealtà e sulla “colleganza”. Ciò significa che psicologi e psicologhe sono tenuti a sostenersi a vicenda nello svolgimento della professione anche nei casi in cui è compromessa l’attività professionale del singolo attraverso la perdita dell’autonomia o della possibilità di adempiere al proprio dovere. La professione dello psicologo, quindi, esula dall’ego e dall’affermazione personale, e punta piuttosto a mettersi al servizio degli altri.

Nell’articolo successivo (art. 34) si rafforza il concetto di colleganza e si invita lo psicologo “a contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale“, affinché tutti possano trarre benefici e conclusioni. L’importanza dell’indicazione delle fonti nelle proprie ricerche è un’altra condizione fondamentale sancita dall’art. 35.

In virtù del rispetto tra colleghi, lo psicologo e la psicologa non sono tenuti a giudicare gli altri professionisti relativamente “alla loro formazione, alla loro competenza, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale“. Inoltre, ogni psicologo è tenuto a comunicare al Consiglio dell’Ordine competente eventuali situazioni di condotta professionale scorretta di cui sia venuto a conoscenza (art. 36).

Gli psicologi, come previsto dall’art. 37, “accettano il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle loro competenze“. In altre parole, il professionista deve essere in grado di giudicare sé stesso, riconoscere i propri limiti ed eventualmente proporre l’intervento di un collega o di un altro professionista.

Infine, secondo l’art. 38, nello svolgimento della professione occorre “uniformare la propria condotta ai principi della dignità professionale e del decoro“, quindi evitando scandali o immagini deleterie per la propria professione.

Rapporti con la società

Secondo l’articolo 39 del codice, “la psicologa e lo psicologo presentano in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza“, riconoscendo il proprio dovere di aiutare i clienti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte“.

L’art. 40, invece, stabilisce che psicologo e psicologa “non assumono pubblicamente comportamenti scorretti e finalizzati al procacciamento della clientela“.  Resta la possibilità di promuovere e sponsorizzare le proprie attività e i propri servizi rispettando i criteri di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato.

Norme di attuazione

Gli ultimi due articoli riguardano l’istituzione dell’Osservatorio permanente sul Codice Deontologico presso la Commissione Deontologia dell’Ordine degli Psicologi (art. 41) per la revisione e l’aggiornamento del testo; e la data di effettiva entrata in vigore del codice deontologico (“il trentesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati del referendum di approvazione“, art. 42).